Storia della chiesa
Le origini
Pieve di S. Giorgio
Il centro religioso un tempo era determinato dall’antica Pieve di San Giorgio, documentata dal 972. Era la Chiesa più antica di Borgotaro e della vallata, fondata dai monaci di S. Colombano dell’abbazia di Bobbio, da cui dipendeva il territorio.
Nel diploma rilasciato da Ottone I in Milano il 30 luglio 972 si parla della ecclesia Sancti Georgi, che sorgeva là dove il torrente Tarodine sfociava nel Taro. Attorno alla Chiesa si formò il primo centro abitato di Torresana, l’antico nome in epoca carolingia di Borgotaro.
Con il passare degli anni la Pieve di San Giorgio divenne il centro della vita locale, perlomeno fino a quando in seguito a mutate vicende storico-politiche, spinsero gli abitanti di Torresana ad insediarsi un poco più a ovest dove sorse il nuovo Borgo.
Dalla parrocchia di San Giorgio dipendevano tutte le Chiese del paese e della vallata fino al XIII secolo. Nel 1204 e nel 1222 compare ancora come proprietà bobbiese, più propriamente il 13 giugno 1204 l’abate di Bobbio Romano investe direttamente l’arciprete di San Giorgio di cinque Chiese situate nella valle (S. Colombano de Turrem, S. Pietro de Roncoris, S. Cristoforo de Metine, S. Martino di Rivosecco e Sant’Eusebio di Granega). Conferma quindi ancora le proprietà bobbiesi nel territorio.
Nel 1222 l’8 maggio ed il 25 settembre il vescovo di Bobbio Oberto Rocca (piacentino), in controversia con il monastero bobbiese di cui ne ottiene dal papa la sottomissione, diede l’investitura della Pieve e delle altre Chiese (s. Colombano de Turrem o Turris, s. Pietro de Roncoris, s. Cristoforo de Metine del Canal di Vona, S. Pietro de Ruvinalia, S. Vincenzo de Boculo, dei SS. Giovanni e Paolo de Zipiono (Ceppino-Pontolo), S. Eusebio di Granega e S. Donnino de Brunellis) ai canonici di S. Antonino di Piacenza.
Nel 1226 venne costruita la Chiesa di S. Antonino. Nel 1564 tutte le funzioni, dal battesimo agli altri sacramenti, vennero celebrati unicamente in tale Chiesa.
Nel giro di qualche anno la Pieve di San Giorgio diroccò. Vennero fatti alcuni tentativi da parte di alcuni suoi parrocchiani per riportare la Chiesa alla sua antica funzione e al suo restauro ma il sorgere poco lontano della Chiesa di S. Rocco bloccò ogni possibile azione da parte del Vescovo.
Un’altra Chiesa meno importante, detta “Santa Maria dell’Ospedaletto” situata in Via Abazia, era una Chiesa di monaci andata in rovina e poi portata via dalla piena del Fiume Taro nel 1786.
All’inizio del 1500 esisteva anche un punto di riferimento dei frati Eremitani Scalzi di S. Agostino. Per un decreto di Papa Bonifacio VIII non potevano ampliare la loro sede e neppure costruire una Chiesa. Si rivolgono allora al Papa Giulio II, sostenuti anche dalla popolazione, per poter erigere una Chiesa e un’abitazione per i frati Eremitani. Il Pontefice scrive al Vicario generale della Diocesi perché si interessi del caso. Se avesse constatato il desiderio della popolazione e dei frati e l’utilità per il servizio religioso dei fedeli, avrebbe concesso la grazia richiesta. Questo è contenuto nella bolla papale del 1503.
Mentre si progettava la Chiesa, nel 1630 il territorio è stato colpito da una “crudelissima peste“. Allora i fedeli e i frati desiderano dedicare la Chiesa a S. Rocco, protettore degli appestati. Chiedono a Giulio II il permesso di dedicare la Chiesa al Santo, il quale con una seconda bolla del 1507, concede la facoltà richiesta e fa dono alla Chiesa di S. Rocco di alcuni diritti parrocchiali: “un umile campanile con la campana, un chiostro, un cimitero, un dormitorio.” Inoltre concedeva alla stessa Chiesa di “godere liberamente di tutti e dei singoli privilegi, delle esenzioni, dei favori, delle immunità, delle indulgenze, degli indulti che già usano e godono gli altri monasteri della predetta congregazione.”


Quattro secoli di storia
In questi secoli, la storia della Chiesa ha avuto molte avversità. Nel 1652 Papa Innocenzo X decreta la chiusura dei piccoli conventi, ma quello di S. Rocco sopravvive grazie all’esito positivo della visita nel 1653 di Pio Padre Copelli, notaio coadiutore della Curia, e al Priore Giacinto Costerbosa, il quale ricorre a Roma e dimostra che le entrate del convento sono più che sufficienti al mantenimento dei frati. Questi possedevano terre e boschi ereditati o avuti in donazione, lavorandoli essi stessi oppure cedendoli, ricavandone affitti o beni in natura. Curavano anche orti e vigne intorno al convento.
La vita dei frati era scandita da varie attività: si iniziava recitando il “Mattutino delle tenebre”, celebravano insieme la S. Messa, alcuni si dedicavano ai lavori domestici, altri a lavori più pesanti, altri ancora all’evangelizzazione, peregrinando scalzi per le nostre montagne (appartenevano infatti all’Ordine degli Agostiniani Eremitani scalzi) ricevendo in dono cereali, castagne e formaggio. Ospitavano inoltre pellegrini prendendosene cura.
Col passare dei secoli la Comunità di Borgotaro, proprietaria dell’edificio, non ne ha curato la manutenzione. Nel 1757 Baldovino Bruni, Padre Priore dei frati che curavano il culto della Chiesa, si rivolge al Comune chiedendo di restaurare l’edificio. I responsabili della Comunità accettano, ma quando la proposta è stata presentata al Consiglio della Comunità, alcuni franchi tiratori ne hanno bocciato l’intervento. Nello stesso anno il Padre Priore si rivolge a Sua Altezza Reale Don Filippo di Borbone, Duca di Parma, vista la Chiesa di questo convento “fatta rovinosa con pericolo eminente di cascare in un tratto sulla testa degli assistenti ai sacri uffici”, per costruirne una del tutto nuova e in un altro luogo. Di fatto è stata restaurata la Chiesa preesistente allungandone la navata.
Nel 1769 il ministro Du Tillot abolisce gli ordini religiosi e i privilegi ecclesiastici per risanare le finanze del Ducato. Anche i frati di S. Rocco devono lasciare il convento e la Chiesa. Maria Amalia, arciduchessa d’Austria, licenzia il Tillot e restituisce ai frati e agli enti religiosi tutti i beni sequestrati. I frati ritornano, seppur per un breve periodo. Lo attesta il capitano Antonio Boccia, nel 1803, nella relazione del suo viaggio di studi compiuti per ordine del Consigliere di Stato Moreau de Saint Mary: “Evvi il Convento degli Agostiniani Eremitani: non vi sono più religiosi”. Con i decreti napoleonici del 1805 gli ordini religiosi saranno definitivamente soppressi. Nel 1827 il Vescovo S.E. Mons. Loschi, visto lo stato di degrado del Convento, giudica l’edificio non conforme al culto decretandone la chiusura.

Nei 100 anni successivi la Chiesa è stata adibita a:
- spedale dei colerosi (1855);
- caserma di reclutamento dei soldati del nascente Stato Italiano;
- stalla;
- prigione per soldati di guerra tedeschi della Prima Guerra Mondiale;
- magazzino di carbone.
Grazie alla tenacia dell’allora arciprete Mons. Giovanni Squeri, nel 1923 nasce un comitato con il compito di riaprire la Chiesa al culto e procedere ai restauri necessari. Dopo quattro anni, durante i quali piccole imprese del territorio dedicano gratuitamente la loro mano d’opera al rifacimento della Chiesa, si celebra la sua riconsacrazione il 24 settembre 1927. Negli anni, la Chiesa è stata usata anche al servizio della parrocchia di S. Antonino Martire in Borgo Val di Taro.
Nell’anno 1964 diventa Chiesa parrocchiale con decreto di Mons. Umberto Malchiodi, che la erige a parrocchia “S. Rocco” in Borgotaro, con lo scopo di servire meglio la popolazione che vive oltre il fiume Taro.

Storia della Parrocchia
La parrocchia di S. Rocco è sorta il 16 agosto 1964 con il decreto del Vescovo di Piacenza Mons. Umberto Malchiodi. La parrocchia di S. Rocco è sorta scorporando il territorio della parrocchia di S. Antonino Martire situato oltre il fiume Taro.


